MANGIACUORE
A REBIBBIA
Da poco meno di un mese una copia di Mangiacuore è entrata nel carcere romano di Rebibbia e passa di mano in mano suscitando reazioni di entusiasmo e partecipazione.
Per me questo è un regalo bellissimo.
Uno dei miei lettori di Rebibbia ha voluto scrivere la sua piccola recensione a Mangiacuore e io mi sento onorata di pubblicarla qui.
Queste sono le parole di G., dal carcere di Rebibbia:
"Mi trovo, in questo momento, in un “ruolo” che, indubbiamente, non mi compete, ma che affronterò con tutta l’onestà intellettuale di cui sono capace. Commentare, o tentare di commentare un libro, come, più in generale, qualsiasi racconto, è impresa assai ardua: ogni storia umana, anche la più apparentemente banale, narra un qualcosa di intimo e personale e quindi, proprio per questi aspetti, unica e inconfutabile. Il libro che ho letto (si legge anche in due giorni) è avvincente e scorrevole per la tecnica adottata dalla scrittrice, una sorta di carteggio introspettivo, un dialogo epistolare con il proprio io. In entrambi i casi, sia che parli Alfredo, sia che lo faccia la sua “ragazza del nord”, i protagonisti di questa struggente e distruttiva, quasi autolesionista storia d’amore, redigono un diario della propria coscienza, in cui riversano, senza filtri o pudore (forse), le proprie sensazioni, i propri sentimenti, le ansie e le problematiche legate alla quotidiana lotta per la sopravvivenza, che, volontariamente o involontariamente (a seconda della prospettiva da cui si osserva la narrazione), i due ragazzi hanno ingaggiato con la tossicodipendenza e con il male di vivere, costante, universale delle generazioni più giovani, forse, di tutti i tempi…
Data la sensibilità del mio carattere più che la mia condizione attuale, io ho un debole per le “vite sofferte” e, segnatamente, per le tematiche trattate in Mangiacuore. Ho sempre ritenuto che la sofferenza e il dolore, spesso, siano le fonti e le basi su cui proliferano amore, amicizia, arte, poesia, terreno fertile per il riscatto dell’Uomo al cospetto della Vita e delle sue difficoltà. Nei “luoghi del dolore”, e nella sua condivisione, c’è più spazio per la solidarietà (quella vera e sincera, quella disinteressata), per il mutuo soccorso e la nascita di nuove idee. Nel corso dei miei anni mi è capitato spesso di trovare un fiore nel fango…
La storia di questi due ragazzi di oggi, Alfredo e la ragazza del nord, è la loro storia, ma potrebbe essere la storia di ognuno di noi, e, forse, lo è stata per davvero. La paura di amare, il cosiddetto “male di esistere” tanto caro alla psicologia moderna, la depressione che segna la fine del “viaggio” della ragazza del nord, il rifugiarsi in qualcosa, in qualsiasi cosa, l’autodistruggersi per difendersi da queste paure, che la modernità ha accentuato anziché lenire, sono sensazioni comuni, che in molti abbiamo provato. La scomparsa dei valori tradizionali della famiglia, della scuola e di tutte le microsocietà che sono state, e dovrebbero ancora essere, la base ed il sostegno della nostra, come di altre, ed in altri tempi e luoghi, società, hanno creato, specialmente nelle fasce giovanili, degli scompensi che, in un modo o nell’altro, andavano colmati. Ed è qui (o lì!) che subentra, si apre il “buco”, il rifugio in cui infilarsi per fuggire dal vuoto esistenziale dei nostri giorni. Un buco che non è necessariamente “sostanza”; un buco in cui nascondersi può essere tutto: la violenza, la maleducazione, l’ipocrisia, la ribellione alle regole, tutte le “maschere” che, come il buco, sono il segno del malessere. L’autrice ne ha scelto uno (di problema), quello della tossicodipendenza, l’”anestetico” per sedare l’esuberanza ”ormonale” della nostra “meglio gioventù”, il flagello che si è drammaticamente abbattuto in maniera diffusa (la sua presenza primigenia risale a tempi ben più antichi dei nostri) sulle umane generazioni, il dramma di una società, la nostra, quella occidentale, che, annientando i suoi valori migliori, distrugge il suo futuro, nella tragica implosione del collasso su se stessa. Mangiacuore è un resoconto minuzioso e dettagliato di una.. (parola non decifrata,ndr), che trasversalmente attraversa le nostre città, giorni in cui due giovani si incontrano, si cercano, senza trovarsi mai, e fuggono dal proprio amore, si compenetrano, ma forse, mai abbastanza. Due ragazzi che, nel disperato tentativo di salvarsi, si annullano vicendevolmente, due giovani che, nella reciproca volontà di conoscersi veramente, perdono se stessi.
A prescindere dalla scelta del fulcro intorno al quale ruota Mangiacuore, la tossicodipendenza appunto, sono molteplici i temi affrontati dalla scrittrice: fra i più rilevanti che ho apprezzato e condiviso ci sono quello dell’unicità dell’individuo, dell’unicità, e per questo “specialità” di ognuno di noi, con i pregi e difetti correlati, quello dell’Amore come punto del sacrificio, fondato sulla dedizione, sulla sincerità e sulla pazienza, quello delle maschere che, purtroppo, quasi ognuno di noi è costretto ad indossare, in un mondo che ci fa tutti prigionieri, quello della menzogna e quello dell’importanza delle parole, ed infine l’”inno” al silenzio, il tema della solitaria ricerca dell’io interiore, la ricerca di se stessi, il tutto concentrato nell’aspra critica allo stigma sociale, che punisce ma non cura, MAI.
PS. L’unico appunto che mi permetto di muovere all’autrice è l’eccessivo utilizzo della bestemmia… Non c’è bisogno di scomodare il Padreterno per rendere crudo e realistico un senso che, per il tema trattato, lo è di per sé!"
Roma, 13 febbario 2008
G.
Io, semplicemente, ringrazio G. per le sue parole.
Spero di poterlo fare personalmente quando ad aprile Mangiacuore entrerà in carcere sotto forma di spettacolo teatrale… e riguardo a questo, spero di potervi dare presto notizie.
Francesca.
Illustrazione di Benito Mascitti